Scuola: riforma o controriforma?

Riforma della scuola tra professione e formazione

di Graziano Scotto di Clemente, Scienza Esperienza, n.15, giugno 1984

 

Intervengo nel dibattito aperto da Baracca-Pera (n. 12, p. 21) sul problema di dove sia andata a finire la riforma della scuola media superiore.
La scuola media dell'obbligo ha oggi evidenti difficoltà a rapportarsi con la scuola media superiore, difficoltà dovute a una contraddizione forte tra la ristrutturazione culturale e metodologica avviata nel ciclo dell'obbligo e la rigidità istituzionale della media superiore, non riformata.

Due osservazioni:


1) una analoga contraddizione non è così rilevante nei rapporti tra la scuola media inferiore e la scuola elementare (anch'essa non modificata dal 1955) in quanto all'interno della scuola elementare si è sviluppata da anni una corrente di riforma spontanea, anche se molto spesso confusa nei suoi termini culturali e metodologici, che ha sostituito la latitanza riformistica istituzionale; esistono inoltre elementi concreti di riforma comune come la legge 517 del 1977.


Tutto ciò non è avvenuto nella scuola superiore.

Evidentemente la causa sta nel diverso significato sociale che utenti e operatori danno alle due scuole: una, per l'età dei bambini non può non essere la più formativa possibile (e quindi con minori vincoli), l'altra non può, invece, che essere professionalizzante e quindi necessariamente nozionistica e selettiva, dato che su questi due aspetti sembra reggersi il mercato del lavoro.


2) Nella scuola media inferiore non tutto va bene: l'applicazione dei Nuovi Programmi è libresca, il metodo scientifico insegnato è ancora quello de «il libro lo ha detto», la selezione è reale sia nel suo aspetto burocratico che in quello strisciante dell'emarginazione.
Per rimanere solo nell'ambito dell'educazione scientifica: da una parte i Nuovi Programmi hanno ridefinito il contorno del territorio culturale e metodologico in cui l'insegnante dovrebbe operare centrando su due aspetti fondamentali il suo lavoro:

  1. l'intreccio tra operatività diretta e sviluppo di quelle capacita intellettive «direttamente» riconducibili alla acquisizione del metodo scientifico (lo studio e la padronanza delle tecniche della variabilità, l'analisi dei dati etc...):
  2. l'attenzione agli aspetti intuitivi - euristici  nell'apprendimento della matematica.

Dall'altra, i Nuovi Programmi, non presentando agli insegnanti materiali concreti, articolati, unificanti le esperienze, che spontaneamente si svolgono nelle scuole, li ha lasciati in balia di media culturali occulti: case editrici, retroterra culturale crociano, buon senso, tradizione e le esigenze della scuola superiore.
Il livello e la tecnica didattica della educazione scientifica si possono valutare solo attraverso i libri di testo pubblicati, poiché una ricerca e un'analisi per individuare le coordinate dei lavori realmente svolti dagli insegnanti non mi sembra sia stata ancora fatta.
Per quello che conosco, ad esempio, solo il lavoro editoriale coordinato da G. Forconi ( 1 ) ha il pregio di richiamare e di basarsi esplicitamente su lavori pedagogico-didattici  ampiamente sperimentati all'estero, che se maggiormente divulgati potrebbero sopperire alle carenze istituzionali italiane (2).
Dai dati riportati nel XVII Rapporto del Censis dalle tabelle, si ricava che circa il 40 per cento degli studenti dei primi anni della scuola superiore è toccato da fenomeni di selezione (3).

Tassi di ripetenza e di abbandono per tipo di scuola e circoscrizione geografica (A.s. 1980-81)

Scuole e anni di corso

Totale

Nord

Centro

Sud

Rip.

Abb.

Rip.

Abb.

Rip.

Abb.

Rip.

Abb.

Scuola elementare

1.6

___

0.5

__

0.5

__

3.2

__

I

II

1,4

0,2

0,6

 

0,6

 

2.4

0.6

III

1,0

0.5

0.5

- 0,1

0.4

- 0.5

1.8

1.4

IV

0,9

0,6

0.5

0.1

0,3

- 0.1

1.6

1.5

V

1,1

0,7

0,9

-  0.5

0.6

- 0,9

1.6

2.6

Scuola media

11.5

4,5

8,7

8.8

10.1

1.9

14.9

S.2

I

II

9,2

4,5

6.9

2.7

8.7

3,0

12.1

7.2

III

5.2

 

4.6

 

5.7

 

5.7

 

Scuola sec. Superiore

9.6

19.7

9,1

19.2

10.1

18.9

9.9

20.6

I

II

8.6

9.4

7,7

10,9

8.8

9.0

9.4

7.8

III

S.2

 

8.5

 

8,5

 

9.5

 

IV

6.4

 

4.1

 

6.6

 

7.2

 

V

5.4

 

5.4

 

6,0

 

4.9

 

Fonte: Elaborazione su dati Istat

 

Tassi di insuccesso negli esami conclusivi (1979-1982)

 

Tipo di esame

Anno scolastico

1979-80

1980-81

1981-82

Licenza elementare

1,3

1,5

1,5

Licenza scuola media

3,3

3,1

2,6

Diploma scuola sec. superiore

10,2

8,6

8,5

Fonte: Elaborazione su dati Istat

 

 

Tassi di ripetenza e di abbandono  nella scuola secondaria superiore per classe e tipo di scuola

 

Anno scolastico Anno scolastico

Tipo di scuola e anno di corso

1978- 1979

1979-1980

Rip.

Abb.

Rip.

Abb.

Istituto professionale

 

I

8.8

24.9

8,9

25.7

II

8,0

16,5

8,5

17,0

Istituto Tecnico

 

I

11.4

19.6

11.9

19.2

II

10,6

8.9

10,9

9,0

Scuola Magistrale

 

I

5,2

14.2

4.6

9,5

II

3,2

3,0

3.8

-8,3

Istituto Magistrale

 

I

9,4

13,6

10.6

15.4

II

9,7

6,1

10,1

6,6

Liceo Scientifico e Liceo Linguistico

 

I

5,5

9,1

5,7

10,7

II

4.9

5,4

5,1

5,1

Liceo Ginnasio

 

I

3,4

6,2

4,9

9,0

II

1,9

1.9

2,3

2,0

Istituto d'Arte

 

I

5,9

.   23,6

7,0

24,6

II

6,3

10,6

7,2

11,9

Liceo Artistico

 

I

6,2

18,8

8,1

18,5

II

5,7

9,8

8,9

7,3

Fonte: Elaborazione su dati Istat

Comunque, al di là dell'influenza sulla selezione degli atteggiamenti soggettivi degli insegnanti, due elementi possono essere individuati come causa di selezione:

  1. la differenziazione culturale e metodologica tra la scuola dell'obbligo e la scuola superiore;
  2. l'assenza di una politica scolastica di orientamento.

Nel progetto di legge, approvato dal Senato nella precedente legislatura non c’è niente che faciliti questo passaggio: la mediazione raggiunta è solo una realizzazione dell’esistente e una delega in bianco al governo.

Secondo l'art. 1 la scuola media superiore dovrebbe assicurare una formazione culturale e professionale di base che consenta il proseguimento degli studi o l'inserimento nel mondo del lavoro; inoltre dovrebbe garantire un pieno sviluppo della personalità degli studenti e l'acquisizione di un più alto livello di conoscenze e capacità critiche. Se confrontiamo il contenuto di queste affermazioni con i «Principi e fini generali della scuola media» vi troviamo una continuità (vedi scheda in cui riportiamo alcuni brani significativi tratti dal testo Nuovi Programmi per la scuola media inferiore). Tuttavia la continuità si interrompe subito: non solo non vengono previsti anni obbligatori post-licenza media per rendere «obbligatorio» a tutti (almeno in teoria) l'innalzamento del livello delle conoscenze e delle capacità critiche; ma già l’art. 2 definisce una scuola superiore professionalizzante dal primo anno nel momento in cui non prevede più una fase unificante di passaggio dalla scuola dell'obbligo e la massima concessione risulta essere che «...Alle discipline dell'area comune nel 1° e nel 2° anno sono riservati non meno dei tre quarti dell'orario scolastico complessivo».


Viceversa poteva essere utile, come segnale politico-culturale, individuare strutture didattiche nuove rispetto alla frammentazione delle discipline nel rapporto frontale insegnante-classe, riaggregarle per dipartimento, laboratorio ecc..., amplificando e precisando il ruolo formativo, di conclusione, per l'alunno, di un processo di maturazione intellettiva nel passaggio dal concreto al formale.


Invece, pur sapendo che la stragrande maggioranza non riesce a conseguire un adeguato pensiero formale alla fine della scuola dell'obbligo, la si avvia a un processo di apprendimento che non tiene conto del suo reale livello.

È a questo punto evidente che le forze politiche di governo hanno in mente solo una scuola finalizzata a un diploma da spendere nel mercato del lavoro (!) e non un processo formativo di crescita culturale del cittadino.

Quindi non si vede come poter diminuire la mortalità scolastica nel passaggio tra i due tipi di scuola, se restano inconfrontabili tra di loro.


Se quanto citato nella scheda ha significato e deve avere realizzazione concreta, non è pensabile organizzare e perpetuare una scuola media superiore che irrigidisca difficoltà, lentezze di apprendimento, pretese professionalizzanti, in una pratica scolastica completamente antagonista a quella ricevuta, dai ragazzi, negli otto anni precedenti.

Per almeno due motivi mi sembra che questa sia la logica del progetto di legge: da una parte manca l'anello di congiunzione tra i due ordini di scuola, dall'altra vengono mantenuti in vita quegli Istituti professionali e quei Corsi di formazione professionale in cui si riversano i ragazzi più deprivati culturalmente.

È risaputo che anche queste «gabbie» hanno forti connotazioni selettive poiché la struttura di queste scuole non si presta ad attività, non professionalizzanti, di integrazione-recupero di abilità parzialmente conseguite nella scuola dell'obbligo.

D’altra parte se prendiamo come riferimento, per la discussione, l'analisi svolta nel XVII Rapporto Censis (4) troviamo rappresentata una realtà sociale non solo estremamente differenziata nei suoi bisogni ma anche nelle risposte, che nell'insieme del sistema formativo generale possono essere trovate.

Secondo i tecnici del Censis va rivisitato il modello di analisi del sistema formativo; in modo particolare vengono messi in luce alcuni elementi chiave per un possibile nuovo approccio e per le conseguenti linee prospettiche di sviluppo.

Elementi chiave


1. Si conclude il periodo delle «ansie da quantità» in cui il sistema formativo cercava di adeguarsi alla massiccia richiesta di scolarizzazione.

  1. Conclusione del periodo delle «ansie da totalità statistica» indirizzateverso il raggiungimento dell'estremo superiore della scala: 100 per cento di scolarizzati, di promossi ecc.
  2. Riassorbimento dell'obiettivo dell’«equalitarismo educativo».

4. Conclusione dell'unicità istituzionale e della «centralità dei canali pubblici formali».
5. Conclusione del «periodo della concezione pauperistica del paese», in cui il paese faticosamente cerca di raggiungere i livelli dei paesi più avanzati.
6, Chiusura del periodo degli «sforzi di scolarizzazione come strumento privilegiato (o addirittura esclusivo) di democratizzazione sociale».
7. Chiusura del periodo «della mobilità socioprofessionale rapida e privilegiata attraverso l'istruzione formale».

8.Conclusione del periodo «dei tradizionali fabbisogni formativi formali
(la scolarizzazione), mentre si va aprendo una fase caratterizzata da
fabbisogni nuovi».

9. Conclusione della contrapposizione tra sistema di controllo centralizzato e sistema decentrato.

Nuove prospettive

  • La domanda sociale tende a decongestionarsi e a esprimere maggiormente esigenze di qualità (con riorientamento della domanda sul nuovo).
  • Saturazione psicologica della scolarizzazione, con stabilizzazione dei diplomati alla scuola media superiore sul 50 per cento dei ragazzi in età.
  • Da una parte si verifica la permanenza delle disuguaglianze sostanziali, dall'altro l'espansione di domande-bisogni basate su esigenze individuali e non più collettive.
  • Si sta già sviluppando un sistema formativo basato sulla molteplicità di luoghi e soggetti formativi, in cui lo stato deve assumere un ruolo di «arbitraggio», nella integrazione delle varie offerte e nella certificazione dei titoli di studio.
  • Siamo in presenza di maggiori disponibilità di spesa di origine pubblica e privata; si sente la necessità di fissare una qualche «regola di mercato» nello scambio formativo, nel momento in cui si ampliano le sedi formative (al limite si parla di buono scuola!).
  • In una situazione di massimo relativo di scolarizzazione, si prefigurano maggiori esigenze nella capacità di modificare o integrare le scelte operate, sviluppando combinazioni efficaci all'interno di vari canali formativi.
  • Emergere di nuove professionalità e di nuove occasioni formative che determinano un intreccio tra preparazione scolastica (il minimo garantito) e altri fattori non predeterminanti e molto legati alla «imprenditorialità individuale».
  • Sopravvivenza di «code residuali» con carenze «tradizionali» di scolarizzazione, e sviluppo di nuove attese, con richieste maggiormente sofisticate, come risulta dalla integrazione dei punti precedenti.
  • La molteplicità ha bisogno di un «forte presidio periferico» e di un «forte coordinamento centralizzato» nel tentativo di gestire «una situazione anche di disordine apparente».


Già da questa sommaria griglia si possono mettere in luce due aspetti contraddittori: viene utilizzata una analisi «micro-sociale» che vuole entrare nel merito delle differenziazioni-molteplicità esistenti; tuttavia questa analisi non è in grado, almeno nella parte citata, di verificare l'esistenza o meno di un minimo comun denominatore causale di tutte le particolarità, pur vere, messe in luce, soprattutto nella loro dinamica interattiva con il sistema formativo attuale.


Ad esempio: quanto della molteplicità dei centri formativi non è un modo di rispondere a richieste di diversificazione professionale legate all'esigenza di specificare ulteriormente i propri dettagli professionali per trovare nel mercato del lavoro una «nicchia ecologica» non occupata?


In altri termini è possibile rovesciare la logica di questa analisi: quanto la diversificazione dei bisogni di istruzione-formazione non è L’unica evoluzione possibile da parte del cittadino di fronte a un mercato del lavoro che da anni non è capace di soddisfare la domanda di nuova occupazione giovanile e che anzi sposta sempre più avanti l’età media di immissione nel mondo del lavoro?
Quanto il rifiuto di un lavoro stabile da parte di alcune fasce giovanili non è la conseguenza di un processo ormai sedimentato di espulsione dal mercato del lavoro delle forze giovanili e quindi un adattamento a questa situazione?


E si potrebbe continuare.


Resta allora da mettere in evidenza come, da una parte, centralizzare un ruolo professionale della scuola media superiore sia arretrato rispetto alla richiesta sociale diffusa e sia improponibile rispetto a un mercato del lavoro soggetto a una ristrutturazione che quando produce investimenti produce disoccupazione.

Viceversa va messo in luce l'aspetto orientativo-formativo che la scuola media superiore può avere nel momento in cui non prepara a specifiche professioni ma individua gli elementi comuni del sapere e dà chiavi di lettura e di orientamento per una introduzione nel mercato del lavoro che è di fatto già posticipata rispetto all'età in cui si conclude la scuola superiore.

 

Bibliografia

  1. G. Forconi, Zanichelli, Bologna 1978.
  2. Unesco, Handbook for science teachers. 1980.
  3. Censis, XVII Rapporto. «I settori di intervento sociale», cap. I «L'istruzione».
  4. Ibidem.