Sapere, dicembre 1978, edizioni dedalo

Chimica e società tedesca nell'800


di Graziano Scotto di Clemente

     

Chi si interessa di storia della scienza, lo  fa per mettere in evidenza particolari movimenti delle teorie scientifiche, oppure i legami che vengono formandosi tra il ' mondo della scienza ' ed il ' mondo della produzione ', e ancora l'influenza che i rapporti di produzione esercitano sulla elaborazione ed il metodo scientifico e viceversa.
In modo particolare, mettere in risalto, con l'analisi storica, la dipendenza delle forze che producono scienza dalle forze che producono merci, significa evidenziare il ruolo passivo e privo di autonomia che l'elaborazione scientifica ha nella società capitalistica, in altre parole il ruolo di dipendenza della scienza dalle forze del capitale e la trasformazione stessa della scienza in forza produttiva.
Occorre cogliere nello sviluppo storico della società quei momenti in cui le contraddizioni interne del mondo scientifico sono state particolarmente chiare e quindi più evidente risulta essere anche la trasformazione della scienza in forza produttiva del capitale. Uno di questi momenti può essere la seconda rivoluzione industriale, come è messo in risalto nell'articolo di Baracca e Russo(1).
Ci troviamo ad analizzare un'epoca che in alcuni paesi (Germania, Usa) presenta una dinamica dello sviluppo economico nuova rispetto a quella che fece la fortuna del capitalismo inglese. Questo nuovo industrialismo, ad esempio quello tedesco, nasce con investimenti massicci di capitale (ottenuti sulla base di un rapporto consapevole con il capitale finanziario e lo stato), con la utilizzazione di una tecnologia nuova ad alta concentrazione di capitale. Ciò richiede ed impone al mondo scientifico una problematica nuova.

Mentre nella prima metà dell'800 la scienza aveva studiato una serie di fenomeni e costruito delle teorie osservando il quadro fenomenologico messo a disposizione dai mezzi tecnici esistenti, riducendo i fenomeni più complessi a processi che interessavano in sostanza solo gli elementi fondamentali della materia, nella seconda metà dell'800 l'industria comincia a chiedere una tecnologia nuova, prodotti nuovi, ricavati dallo studio scientifico, una capacità di fornire con continuità teorie e risultati da trasformare in merce o in capitale fisso.


La scienza deve affrontare ed interessarsi dei fenomeni naturali così come si presentano, senza doverli ricondurre a processi più elementari.  
In una seconda fase si può avere la necessità di elaborare un raccordo tra classi di fenomeni per poterli giustificare in termini più precisi o perché non si è soddisfatti di una scienza che dà una visione frammentaria della natura.
Ma l'importante è riuscire a controllare questi fenomeni, saperli riprodurre migliorandoli o piegandoli alle esigenze produttive.Questa nuova ottica non può non cambiare anche il metodo di approccio e di analisi del fenomeno naturale. La crisi che ne segue si manifesta compiutamente e si impone con la comparsa della teoria dei quanti. Ora non sembra logico affermare che la teoria dei quanti nasce dall'intuizione geniale di Planck, ma più probabilmente (pur riconoscendo l'intervento soggettivo) è figlia di un modo diverso di praticare la scienza, che si è imposto in taluni rami scientifici, e in modo particolare, secondo noi, nella chimica. Ecco quindi l'importanza di mettere in luce cosa sia stata la chimica nell'800 e soprattutto che tipo di rapporti abbia avuto con la tecnologia e con la fisica.

La chimica nell'ottocento

Analizzando brevemente lo sviluppo della chimica nel XIX secolo, possiamo metterne in luce un preciso filo conduttore: l’empirismo sperimentale. La pratica di laboratorio ha sempre prodotto qualche conoscenza, fosse solo l'individuazione dei costituenti di un composto. Dal punto di vista teorico siamo di fronte ad una grossa difficoltà a quantificare, razionalizzare le conoscenze sperimentali cui si giungeva. Dobbiamo distinguere, qui, tra la « Chimica » e taluni settori della chimica-fisica (cinetica, chimica delle soluzioni, termochimica) che hanno una loro dinamica di sviluppo, più legata, almeno come tendenza, ai settori corrispondenti della fisica ottocentesca. Lo studio di come si sviluppano questi settori e i loro rapporti con il meccanicismo richiede una ricerca a parte. A noi interessa lo sviluppo della chimica come studio della materia in trasformazione così come si è presentato, nella sua realtà reattiva, allo scienziato ottocentesco; e come dall'oggetto reale (la singola reazione) si sia arrivati ad una costruzione razionale che comprende anche quegli aspetti chimico-fisici che pure possono essere studiati astrattamente, cioè isolati da una reazione. Di questa «chimica» possiamo vedere due aspetti, quello teorico e quello sperimentale. Ben poco la chimica ha teorizzato nel periodo che intercorre tra l'introduzione e l'uso della bilancia nello studio delle trasformazioni chimiche e la sistemazione degli elementi nel Sistema Periodico di Mendeleev, la teoria della valenza di E. Frankland, gli studi di van't Hoff sulla stereo-isomeria e la dislocazione spaziale degli atomi nelle molecole organiche. I progressi sperimentali sono invece notevoli: Lavoisier osserva la composizione  qualitativa dei composti organici, Liebig determina un metodo di analisi quantitativa del carbonio e dell'idrogeno nei composti organici. Nel 1825 Faraday separa ed ottiene puro il benzene e nel 1842 Leigh lo separa dal catrame; nel 1829 viene sintetizzata l'urea, primo composto organico sintetizzato; si incominciano per strade diverse e con storie diverse a sintetizzare composti organici: derivati dell'etilene, eteri e nel 1856 viene prodotto il primo colorante artificiale di Perkin; A.W. von Hoffmann separa tramite distillazione frazionata i vari costituenti  del  catrame,  ottenendo in gran quantità l'anilina. Nel 1855 P. Griess mette in evidenza la reazione di diazotazione del benzene, e otto anni dopo Martius produce il primo colorante azoico, il bruno-Bismark. Via via il numero e la complessità delle sintesi aumenta, e si allarga il bisogno di andare a vedere composti, tecniche, processi, collaterali, ma fondamentali per poter arrivare al prodotto desiderato. Interessante è, a questo proposito, la intensa attività di ricercare sui coloranti artificiali, che vede come industria di avanguardia la BASF: nel 1869 viene prodotto artificialmente l'alizarina (precedentemente estratta dalla robbia), sintesi tutta realizzata in Germania; nel 1884 viene prodotto il rosso-congo, primo colorante senza corrispondente naturale, capace di tingere il cotone; poi il lungo programma di ricerca per la preparazione dell'indigotina, dalla sintesi di Bayer (1880) alla produzione del 1897, con la diretta partecipazione finanziaria del governo tedesco.

 

La pianta dell'indago in lavorazione, Vietnam, 2002

 

 

Estrazione dell'indaco, Vietnam, 2002

 

Ma il quadro non è completo senza un riferimento alle materie prime e ai processi collaterali. Le materie prime — essenzialmente composti aromatici — si ricavano per distillazione del carbon fossile e soprattutto del catrame; vengono così sfruttati prodotti fino ad allora considerati di scarto e quindi molto economici. Per quanto riguarda i processi collaterali bisogna tener conto dello sviluppo di due settori di ricerca: il processo Solvay, per la produzione della soda e la produzione dell'acido solforico in presenza di catalizzatori. La ricerca viene finanziata, acquista maggiori spazi nell'università, si fondano politecnici e scuole tecniche. Osserviamo adesso quale è stato lo sviluppo teorico. Rifacendosi alla teoria di Newton, Lavoisier, nel 1775, inizia a descrivere le trasformazioni della materia; questo permette di dare ai chimici il primo e fondamentale elemento di razionalizzazione: in una reazione chimica la massa si conserva. Comunque altri problemi si presentavano: la definizione, l'isolamento, la classificazione degli elementi, le cause della capacità degli «elementi in genere» a reagire, combinarsi. Per la chimica di sintesi, per la chimica organica, non è possibile costruirsi una teoria dei legami; si deve ancora mettere in luce cosa sia un elemento, cosa sia un composto, quale sia la sistemazione degli elementi ' puri ' C, H, O, N nel composto organico, cosa determini le sue caratteristiche, e così via. Vengono imposti dai fatti sperimentali più semplici, quali sono quelli precedentemente elencati, dei postulati che in linea generale funzionano, aiutano a proseguire i tentativi di sintesi con una maggiore continuità e sicurezza di arrivare al prodotto desiderato.
Siamo al livello di «(...) una conoscenza in prima posizione, conoscenza che constata ma non spiega (…)» bisognerà aspettare che la teoria elettronica assuma «la funzione d'un ordine razionale che spiega i fatti».
Il progresso della chimica avviene tramite un «razionalismo a più registri», tramite «pensieri della doppia storia», come fa rilevare G. Bachelard (2), che in questo caso ed in altri da lui studiati, non relega « nell'ignominia dell'empirismo assoluto» quelle scienze il cui progresso avviene mediante questo processo, ma conferisce loro una dignità di cultura pienamente razionalizzata. Ed è proprio nella chimica che non mancano esempi di questo modo di procedere per assiomi non dimostrati teoricamente ma estrapolati da un andamento qualitativo-sperimentale.
Non siamo ancora in grado di realizzare le polimerizzazioni di Natta, non siamo al petrolchimico, tuttavia qui vengono poste le basi della crescita della scienza e dell'industria, e soprattutto viene imposta una direzione di sviluppo e di rapporto tra scienza ed industria.
Quello che manca è il significato di questi postulati a quei livelli ' riduzionistici ' su cui operava invece la fisica. Quali interazioni microscopiche corrispondono alla ipotetica valenza, quali elementi fondamentali della materia producono questi fenomeni macroscopici? Non c'è risposta «scientifica».
D'altra parte è proprio la fisica ad impedire la possibilità di un approfondimento della teoria chimica: «(...) la fisica non potè estendere il proprio campo oltre certi limiti finché fu dominata dalla convinzione propria del XIX sec. che la spiegazione ultima delle cose dovesse essere tradotta nei termini della meccanica newtoniana. Nessuna descrizione dell'atomo, in quei termini, poteva gettare luce sul sistema periodico o sul fenomeno fisico della radiazione dell'energia: la chimica e la fisica del XIX secolo rimasero distinte»(3). Quindi la storia di come i chimici hanno cercato di rispondere a questi quesiti ci serve solo per mettere in luce come da una parte la chimica procedesse nonostante l'assenza di una teoria globale e « microscopica », da cui si potessero prevedere l'andamento e la direzione della sintesi a livello astratto, e dall'altra mancasse la capacità di spiegazione logica dei vari fenomeni e l'impossibilità di contatti con la fisica, la scienza trainante dal punto di vista teorico (5). Dopo  la  pubblicazione  del  lavoro  di J.H. van't Hoff, « La chimie dans l'Espace » nel 1875, la reazione delle varie eminenze scientifiche è di vario tipo;  è indicativo,  però,  dell'atmosfera scientifica questa frase di A. Kekulè, a proposito dell'ipotesi di van't Hoff sulla esistenza degli atomi e delle molecole:   « la questione se gli atomi esistano o meno ha ben poco significato da un punto di vista chimico:  la sua discussione  appartiene  piuttosto   alla metafisica. In  chimica  noi dobbiamo solo decidere se l'assunzione degli atomi è una ipotesi adatta alla spiegazione dei fenomeni chimici » (4). Tuttavia su di un terzo piano si muove la chimica: il piano industriale. Ed è con  questo  che possiamo ricollegare l'aspetto teorico e sperimentale con la società  tedesca dell'800.

Stato e società tedesca nella seconda metà dell'ottocento

Lo sviluppo delle capacità produttive tedesche, il livello e il tipo di istruzione, la presenza dello stato e i modi del suo intervento sono gli aspetti fondamentali da considerare per l'importanza che assumono in questo contesto (6).


Nei settori trainanti, l'industria tedesca nasce subito come grande industria (intendendo per grande industria quella con forte investimento in impianti): è quindi possibile rinvenire la presenza vincolante del capitale finanziario direttamente favorito dallo stesso governo, attraverso le banche e gli istituti di credito. Elemento iniziale di questo tipo di processo è lo sviluppo nel settore ferroviario e minerario-siderurgico, come è possibile vedere in tabella.


Andamento  degli  investimenti   nel   settore   ferroviario  (a)  e nel settore minerario-siderurgico   (b), in Baviera (a) e in Prussia (b) (7).

 

Periodo

Numero delle società  fondate

Totale  del  capitale investito,   in  milioni  di talleri

(a)

1837-1848

6

43,99

(a)

1849-1859

44

oltre 145,0

(b)

1834-1851

14

23,29

(b)

1852-1857

59

70,69

In Prussia «i settori trainanti dell'economia avevano operato un balzo in avanti sulla base di una tecnologia avanzata e di forme di organizzazione già collaudate nelle regioni più avanzate d'Europa. (...) Soltanto le banche potevano disporre delle grandi quantità di capitale liquido necessario per impiantare stabilimenti nel campo dell'industria pesante. (...) negli anni cinquanta vennero fondate nuove banche azionarie che intrapresero sistematici investimenti. Le nuove banche (...) fondavano società, commerciavano in azioni industriali e fornivano capitali a lungo termine all'industria » (7).


Via via che le dimensioni degli investimenti aumentano, i controlli sull'andamento dei mercati diventano più numerosi e continuativi, finché gli industriali chiedono «allo stato tariffe protettive, sussidi, ruoli preferenziali e provvedimenti analoghi. La Germania passa senza soluzione di continuità dall'età del libero scambio, all'imperialismo di stato» (8).

La congiunzione tra industria e scienza si realizza, inoltre, mediante la particolare struttura dell'Università e del sistema scolastico in genere. In breve possiamo dire che l'università tedesca si trova pronta nel decennio 1860-1870 per fornire informazioni e quadri all'industria e viceversa. Infatti «(...) tra il 1825 ed il 1876, emerse nelle università tedesche il ruolo del ricercatore professionale e si sviluppò la struttura sociale del laboratorio di ricerca. (...) Dal momento che queste università facevano parte di un sistema competitivo, era inevitabile che le retribuzioni disponibili venissero distribuite precipuamente sulla base della competenza e dei risultati ottenuti sul piano intellettuale (...)» (9). Si ottiene perciò questo duplice risultato: la presenza nelle università di personale molto qualificato e l'autonomia dall'ambiente sociale tedesco che risulta arcora di tipo aristocratico-feudale. Nella prima metà del secolo l’Università diventa un sistema staccato dalla società tedesca, quindi, guidata da esigenze tutte interne. Il risultato è, però, che questa rete di ricerca sperimentale trova ragione sociale di sé solo quando si viene formando all'esterno una struttura industriale in grado di raccogliere l'offerta scientifica e di stimolare ed imporre, poi, una domanda di scienza.Possiamo aggiungere, alle università, le Technische Hocchschulen (istituti tecnici), per le quali la Prussia spese nel 1870 venticinquemila sterline aumentate via via fino alle 117mila del 1900 (10).

Come si inserisce la chimica in questo quadro?

Nella prima metà dell'800 i composti prodotti erano, essenzialmente, l'acido solforico e   la potassa, in quanto l'industria trainante della prima rivoluzione industriale  usava coloranti naturali; nella seconda metà del secolo si incominciano a produrre composti di sintesi che trovano un mercato: i coloranti artificiali, i primi prodotti alimentari lavorati industrialmente, i medicinali, oltre ai precedenti composti inorganici sintetizzati con nuovi metodi. Si è già parlato dell'importanza delle sintesi dei coloranti, ma non si possono dimenticare altre produzioni, soprattutto quella dell'acido solforico, la cui richiesta è sempre maggiore, (parallelamente a quella dei coloranti), e la cui produzione con il processo delle camere a piombo diventa insufficiente. Viene così ripreso lo studio della reazione catalizzata dal platino, scoperta nel 1831 e che viene via via migliorata da R. Messel e Winkler in Germania, con l'ottica particolare dell'efficienza dei catalizzatori; anche queste ricerche fanno parte del piano BASF per l'indigotina. Quindi, ci si interessa di altri aspetti teorici delle reazioni: quali ad esempio gli equilibri e le cinetiche, in presenza o meno di catalizzatori, (vedi la sintesi dell'ammoniaca, che però è posteriore di qualche decina di anni). La BASF passa dai trenta operai del 1835 agli oltre dieci mila del 1913, anno in cui l'intera industria chimica tedesca occupa 200 mila operai, con un fatturato di due miliardi di marchi di cui un terzo esportato (11). La chimica diventa, man mano che cresce, una forza produttiva, riesce a trasformare la conoscenza della natura in merci; pur non possedendo il formalismo della fisica ottocentesca, riesce a fornire profitto al capitale. Profitto significa per il capitalista estensione della sua forza economica, possibilità di accumulare e reinvestire in capitale fisso più avanzato, allargare la sfera di influenza delle sue merci, aumentare la varietà stessa delle merci prodotte. Allora il rapporto tra capitale e scienza non può che rinforzarsi e si passa dalla casualità della sintesi di Terkin alla scientificità della ricerca impostata dalla BASF. Quello che è stato dimostrato tra chimica e capitale è la immediata sudditanza della scienza al capitale, e in questo rapporto, la possibilità di arrivare a dei risultati produttivi che sono anche conoscitivi per la società capitalistica, con modi e forme diverse da quelli della fisica contemporanea.Da una seppure breve analisi di questo periodo si vede come il chimico non possiede per tutto l’800 nessun strumento predittivo sicuro; ha degli elementi, dei postulati di fondo basati solo sulla esperienza.La teoria atomica di Avogadro viene ripresa proprio a cavallo della metà del secolo; ed è solo in questo momento che si comincia a pensare che i vari composti possano essere aggregati di elementi specifici, uniti tra loro da qualche tipo di interazione. Solo verso la fine del secolo si ipotizza che gli atomi, come il carbonio ad esempio, abbiano determinati modi di legarsi nello spazio ad altri elementi. Ma dietro a queste ipotesi, troviamo solo intuizioni o supposizioni o teorie un poco fantasiose come quella di Kekulè (relativa alla struttura del benzene) che però diventano nella pratica, sollecitata dall'industria, scienza a tutti gli effetti. Queste teorie rispecchiano la parte sperimentale del lavoro del chimico, in quanto tengono conto dei risultati a cui si è arrivati concretamente. In pratica deducono dall'insieme delle reazioni studiate un comportamento «statistico», ad esempio, quale può essere quello del carbonio in una serie di classi di composti con proprietà diverse. La teoria che viene prodotta non si interessa, perciò, di andare molto oltre il dato sperimentale, né tanto meno di ricondurre i vari fenomeni — che nel loro succedersi si presentano autonomamente — ad un unico filo conduttore, un unico principio base.
Il metodo riduzionistico non ha successo: nel quotidiano far scienza non viene applicato proprio in quanto non facilita una migliore conoscenza, una  migliore completezza della indagine.
La ricerca chimica — così come viene sviluppandosi nel suo precoce, e già 'frenetico', rapporto con la produzione — impone la necessità di inquadrare i problemi, che via via si presentano, con un pragmatismo, una flessibilità, una « spregiudicatezza » ai contini della ortodossia scientifica dell'epoca.
Possiamo considerare che l'inquadramento di ogni singolo fenomeno reale all'interno di una struttura teorica, comporti due possibilità:

  • il fenomeno è un corollario già compreso nella teoria;
  • il fenomeno richiede la ricomposizione allargata della teoria.

Se si ritiene la teoria onnicomprensiva nella spiegazione dei fenomeni naturali, sarà tanto più complesso modificarla quanto più è estesa l'area su cui deve intervenire, ovvero quanto più generali sono gli assiomi che la costituiscono. Quello che distingue la chimica dalla fisica — nel periodo considerato — è proprio la diversità di ampiezza delle aree di intervento delle rispettive teorie. La dottrina chimica arriva a predire l'esistenza di elementi 'puri' prima ancora di sapere quali sono le origini quantitative delle differenze tra i vari elementi (vedi la classificazione periodica di Mendeleev). Si fa qui un salto in avanti nel metodo: non si considera «l’oggetto prima della conoscenza (...) Al contrario, una dottrina che si fonda su una sistematizzazione interna provoca l'occasione, costruisce ciò che non le si dà, completa, (...), una esperienza sconnessa. Da quel momento, ciò che non è conosciuto è formulato (...) Sembra, persino, che il reale sia istruttivo e certo soltanto se è stato realizzato e, soprattutto, se è stato messo nel suo giusto contesto e al posto che gli compete nella creazione progressiva» (12). E' un salto di qualità: da una scienza che si forma sull'oggetto reale, sulla natura, ad una scienza che costruisce l’oggetto del suo studio, che costruisce la sua natura. D'altra parte questa necessità - possibilità di 'creare la realtà' in modo antagonistico con la natura è una caratteristica fondamentale del capitalismo. Costruzione non solo di un prodotto-merce artificiale al posto di quello naturale, ma ben più in profondità, è la stessa trasformazione dell'oggetto reale in merce, quindi, la creazione di una nuova, anche se strumentale realtà. Qui sta la novità, secondo noi, del metodo scientifico usato nella chimica — per la prima volta — dovuta da una parte alle difficoltà della scienza meccanicistica di rispondere con immediatezza ai fenomeni nuovi che si venivano accumulando, dall'altro alla necessità di andare avanti, comunque, nel rapporto produttivo (13). Questa esigenza economica spinge la ricerca stessa verso strade e terreni più utilitaristici, trascurando la possibilità dì ricondurre l'insieme di conoscenze ad una concezione unificante della natura (14).

 

Bibliografia e note

  1. Baracca A. e Russo F., I primi sviluppi della teoria dei quanti, « Sapere », n. 794.
  2. Bachelard G., Epistemologia (antologia discritti  epistemologia  a  cura  di  Dominique Lecourt),  Laterza   1975,  p.   88.
  3. Singer C., Breve storia del pensiero scientifico,  Einaudi  1962, p.  417.
  4. Snelders H.A.M., The reception of J.H. Van't Hoff Theory of the Asymetric Carbon Atom, in « Journal of Chemical Education », vol. 51, I, 1974, p. ).
  5. Snelders, op. cit.
  6. Holborn H., A  history  of modern  Germany,  Eyre  &  Spottiswade,   1969,  voi.   II, p.  124.
  7. Kemp T., L'industrializzazione in Europa nell'800, II Mulino, Bologna 1975, pp.  142- 143.
  8. Storia del mondo moderno, Cambridge University Press, Garzanti, Milano 1970, vol. XI,    p. 64.
  9. Ben-David J., Scienza e società, II Mulino, Bologna 1975, p. 206.
  10. Cambridge University Press, cit., p. 60.
  11. Lenin V.I., L'imperialismo fase suprema del capitalismo, Ed. Riuniti, Roma 1973, p. 57. Lenin parla anche del nascente trust chimico tedesco, descrivendoci la forza di queste industrie: la fabbrica di colori già Meister, Lucius e Bruning a Hoechst, associata alla Casella e Co. di Francoforte sul Meno con un capitale di 20 milioni di marchi; le fabbriche BASF di Ludwigshafen sul Reno associate alla Bayer e Co., con un capitale di 21 milioni, a cavallo del secolo. Questi due gruppi passano nel 1905 e nel 1908 a 40 e 50 milioni di marchi di capitale.
  12. G. Bachelard, op. cit., p. 78.
  13. Si dovrebbe, poi, andare a vedere come si è venuta costituendo la divisione del lavoro nei laboratori scientifici e come questa abbia influito sul processo di parcellizzazione-specializzazione della scienza stessa. Come accenna A. Gorz (Sulla natura di classe della scienza e degli scienziati, in Ideologia delle scienze naturali, Feltrinelli 1977) anche «la proletarizzazione dei lavoratori della scienza ebbe inizio circa novant'anni fa in Germania, quando Carl Duisberg, allora direttore di ricerca alla Bayer, applicò alla ricerca la medesima divisione del lavoro che regolava la produzione», p. 80.
  14. Ed è questa la critica più forte che tale A. Rey, «positivista, cioè confusionario» del 1907, rivolge alla fisica e alla chimica del suo tempo: «(...) queste scienze (fisico - chimiche), che storicamente sono state essenzialmente emancipatrici, affondano in una crisi che non lascia loro che il valore di ricette tecnicamente utili, ma toglie loro ogni significato dal punto di vista della conoscenza della natura (...). Ormai la scienza non può che dare ricette pratiche e non conoscenze reali». (Da: V.I. Lenin, Materialismo ed Empiriocriticismo, Sapere Edizioni, 1970, p. 207). Ma l'autore, positivista, crede ancora nella scienza e nella possibilità di una sua pronta ripresa!